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ISTRUZIONE TECNICA E PROFESSIONALE: UNA LINEA DI EVOLUZIONE SISTEMICA

Pubblicato il: 04/02/2017 13:16:26 -


Un’analisi dell’identità dell’istruzione professionale nell’attuale fase in cui è all’esame del Parlamento il decreto legislativo sulla revisione dei suoi percorsi con l’obiettivo di mettere ordine in un ambito frammentato tra competenze statali e regionali.
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E’ all’esame del Parlamento un decreto legislativo inerente la riconsiderazione dei percorsi formativi dell’istruzione professionale. Sono stati definiti dal Miur sulla base dei risultati emersi in sede di attuazione della Riforma, così come interpretati da tavoli ministeriali a composizione varia. La notizia dovrebbe, in qualche misura, essere accolta con favore in quanto, oltre a relazionarsi ad una indicazione normativa, esprime, in principio, una linea di attenzione alle esigenze dello sviluppo. In realtà, a chi ha avuto modo di seguire i processi riformistici degli ultimi vent’anni, una notizia del genere finisce, a torto o a ragione, per creare non poche preoccupazioni. Vale, quindi, la pena fare alcune considerazioni in merito, premettendo che le maggiori preoccupazioni attengono al metodo e agli obiettivi dei processi di riconsiderazione dell’offerta formativa.

1 – Venti anni dopo.

Anche dopo il ventennale processo della riforma, ascrivibile, nelle diverse sue elaborazioni ,ad un consistente numero di Ministri (Berlinguer, De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini, Giannini), il sistema scolastico italiano continua a caratterizzarsi per la presenza di percorsi riportabili o all’ambito umanistico-generalistico (con l’ormai storico e non superato mascheramento del liceo scientifico e con qualche discutibile ibrido tipo il liceo artistico) o all’ambito professionale, con varie sfumature rappresentate dall’Istruzione tecnica, dall’Istruzione professionale e dal c.d. sistema regionale.. Non esiste, se non nelle speranze deluse della cultura scientifica italiana, un grande ambito di formazione tecnico scientifico in grado di supportare, in questo Paese, sia l’alta formazione (e con essa la ricerca) sia le conoscenze e le competenze valide a sviluppare, nei contesti aziendali, le professionalità elevate (obiettivo reso primario dalle esigenze dello sviluppo fondato sulla qualità). Era questo, volendo porre mano all’architrave del sistema, specie in una logica di LLL, il vero grande vuoto da colmare in modo strutturale, trattandosi di un obiettivo non raggiungibile solo attraverso (per forza di cose) modesti impinguamenti di discipline scientifiche. Avrebbe dovuto essere l’Istruzione Tecnica, deprivata da Gentile della sua vocazione scientifica, a riprendere la direzione perduta, proponendosi come la piattaforma di sostegno delle ulteriori esigenze della formazione universitaria e terziaria (formale e informale), a loro volta sempre più pressate a dare risposte qualitative ascendenti nel campo della cultura e dell’operatività tecnica e scientifica.

Questo vuoto strategico, poi aggravato dai provvedimenti delegati attuativi della riforma, e la conseguente confusione identitaria degli obiettivi e dei percorsi formativi non potevano non portare a quel che poi è avvenuto: uno scivolamento complessivo dell’istruzione tecnica verso i percorsi professionali e verso una assurda concorrenzialità tra le istituzioni dei due settori, concausa, in uno con le ammucchiate informi degli insediamenti (e della deprofessionalizzazione della dirigenza), dello sviluppo di inedite forme di “cannibalismo scolastico”. In apparenza è soccombente l’istruzione professionale, spinta, peraltro, verso i confini impalpabili con la “nuova cosa” rappresentata da “l’istruzione professionale regionale”. In realtà, sono gli istituti professionali a diradarsi ma non l’Istruzione professionale, che, anzi, viene rilanciata sotto “le mentite spoglie” dell’Istruzione tecnica. In sostanza, in Italia, l’istruzione professionale si consolida sotto le insegne dell’Istruzione tecnica mentre è quest’ultima che rischia, nella sostanza, di scomparire, trascinando con se quella che avrebbe dovuto essere una parte essenziale dello sviluppo qualitativo dell’intero sistema di apprendimento.

2 – Cosa fare e, soprattutto, come fare per (se non altro) attenuare questo plateale degrado sistemico?

In realtà il nodo del problema è nella seconda domanda, in quanto, a nostro avviso, la questione centrale è costituito dal metodo. La cosa peggiore sarebbe quella di rimettere mano, sempre nel famoso “ quadro della riforma”, ai percorsi dei due settori o, magari (per non complicare troppo le cose!), solo a quelli dell’istruzione professionale, senza cercare di porre elementi di riequilibrio sostenibile del quadro generale di riferimento una linea di maggiore sistematicità. Questo sia all’interno del sistema scolastico sia nei rapporti con la “cosa” regionale.

Ora, siccome non è possibile porre mano al quadro generale di riferimento, e non lo sarà per molti anni, sarebbe forse opportuno partire da una “chiusura di pagina”: quel che è fatto è fatto ed evitiamo di muoverci con iniziative più o meno “creative” di cambiamenti a tavolino del cambiato, in un clima di transizione permanente. Apriamo allora un’altra pagina e puntiamo, con un approccio scientifico sufficientemente serio, ad una metodologia “evoluzionistica” quale linea di “normale amministrazione” dei processi di cambiamento di un sistema complesso, che deve potersi adeguare alle sempre nuove esigenze dello sviluppo ma che non può essere periodicamente palleggiato come il mappamondo di Chaplin. Mettiamo in campo iniziative di “aggiustamenti progressivi”, anche sperimentali, idonee ad attutire, e progressivamente a superare di fatto, le confusioni identitarie di settore e di offerta formativa cui s’è accennato.

In sostanza, mettiamo da parte il frizzantismo creativistico e recuperiamo, a fronte della complessità dei problemi, la linea della evoluzione coordinata, avendo come obiettivi quelli di:

a) rettificare progressivamente il quadro di sistema, allargando la forbice identitaria tra i due settori, senza apportare alcun cambiamento nell’attuale assetto dei percorsi, delle presenze disciplinari e delle stesse competenze, ma incidendo sui loro equilibri contenutistici, sulle curvature di obiettivi e sulla stessa accentuazione dei processi di personalizzazione dell’apprendimento (cui dovremmo pur porre mano!);

b) puntare, operando in particolare sugli anni terminali,

1) ad una prevalente caratterizzazione tecnico scientifica degli apprendimenti dell’istruzione tecnica, con un più accentuato orientamento verso i corrispondenti percorsi universitari e di elevata qualificazioni aziendale

2) una prevalente caratterizzazione tecnico- professionale per gli istituti professionali con una maggiore attenzione verso percorsi a forte specificità;

c) ritrovare, nel concreto nelle intese progettuali, gli spazi e le forme di raccordo e cooperazione tra percorsi del sistema scolastico e percorsi dei sistemi regionali che, non dimentichiamolo, vanno considerati con le necessarie diversificazioni e non nella logica di un altro sistema nazionale parallelo e concorrente.

Resta per i percorsi scolastici, nella stessa logica del LLL, l’esigenza della quinquennalità, il cui respiro è indispensabile per lo sviluppo, anche a livello di competenze di base, della cultura sia tecnico scientifica che tecnico professionale. D’altra parte, anche sul piano strutturale, le antiche qualificazioni di primo livello sono, ormai, di difficile collocazione nei percorsi scolastici.

3 – Come già precisato, gli strumenti per operare, progettualmente, nella linea della evoluzione coordinata, esistono tutti.

Per la verità esistevano già negli stessi provvedimenti delegati ma sono stati immiseriti per motivi vari, in sede di gestione attuativa. La legge 107/2015, che si pone con evidenza in una logica di evoluzione del sistema, ha rilanciato, in uno con il recupero dell’autonomia funzionale, tutti gli spazi di elasticità orizzontali e verticali enfatizzando, peraltro: un insieme di elementi di flessibilità insiti nella didattica per competenze e nella stessa personalizzazione degli apprendimenti, o comunque reperibili nel quadro normativo; (pensiamo al monte orario annuale, all’organico funzionale etc.) Questo, pur volendo restare ancorati ai tradizionali assetti organizzativi (cui, prima o poi, a cominciare dall’anno scolastico,.si dovrà pur mettere mano).

4 – Due ultime sintetiche annotazioni.

La prima:- Il discorso è sostanziale e non nominalistico. Il problema non è mantenere necessariamente in piedi le due insegne, bensì salvaguardare i due grandi ambiti di opportunità fomative, e, con essi, le aspirazioni e le funzionalità allo sviluppo che ciascuno rappresenta. Che questo possa avvenire sotto un’unica insegna non è un problema rilevante. Si collocherebbe sotto la voce “ricorsi storici”.

La seconda investe la governance. Certamente, una linea di evoluzione coordinata, quale quella indicata, deve poter contare su una certa chiarezza di intenti, su una buona progettualizzazione e su una buona mediazione. tra obiettivi generali , autonomia delle istituzioni e la variegata galassia dei “microinteressicontro” che da sempre mette sassi sul cammino delle innovazioni.

Occorre insomma una Regia Istituzionale.

Giuseppe Martinez y Cabrera

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